mercoledì 18 maggio 2016

Le cose al rovescio


Quattro anni fa stava scadendo il mio contratto di sostituzione maternità, senza nessuna possibilità di rinnovo. Per l'ennesima volta cercavo lavoro.
Avevo però due piani alternativi.

Piano B: fare un figlio. Di lanciarmi senza rete. Fino a quel momento avevo rinviato, perché stavo cambiando lavoro; poi, mi ero trovata molto male nella nuova azienda; poi, avevo trovato un tempo determinato; poi poi poi...
Non era mai il momento. Ma l'orologio biologico va avanti da solo, e dopo due conti e lunghi momenti di incertezza, avevo deciso di farlo e basta.
Ho avuto molta fortuna, e sono riuscita ad avere una figlia e trovare un nuovo lavoro.

Piano C: iscrivermi all'università. Più lavoravo più mi rendevo conto di non sapere, e volevo ricominciare dalle basi, a 32 anni.

La mia storia, dopo il liceo, non è stata molto lineare. Ho mescolato università, apprendistato, scuola post diploma, lavoro a progetto e disoccupazione, in ordine sparso, con idee confuse e pochissima pazienza di scoprire dove portava la strada che avevo imboccato.

Il risultato è stato che, quattro anni fa, l'ultima settimana di lavoro ero già incinta.
Due mesi dopo, disoccupata, passeggiavo avanti e indietro nella strada della segreteria studenti, incerta ed emozionata.
Il fatto è che mi sentivo dannatamente fuori luogo, con la mia età e la mia bambina in pancia.

Alla fine, ovviamente, i buoni hanno vinto, e mi sono lanciata nell'avventura.
Questi studi sono fighissimi; mi maledico per non averli fatti a 19 anni.
Anche se a volte mi faccio prendere da pensieri cupi che, in sostanza, corrispondono ossessivamente alla frase "ma chi me lo ha fatto fare".
Mi piace tutto quello che studio. Ha attinenza col lavoro, magari da un po' lontano, e capisco molto meglio le cose che faccio tutti i giorni in ufficio.
Sento il desiderio di studiare per me, per saperne di più. È davvero tanto tempo che non mi succedeva; alle superiori non ho mai aperto libro per altri motivi che non fosse il dovere.
E poi, i prof non mi fanno soggezione, vuoi mettere?

venerdì 13 maggio 2016

Perché corro.

Perché ho iniziato per dimagrire, e funziona.
Perché è il massimo dell’allenamento nel minor tempo, iniziando a bruciare calorie direttamente sul marciapiede davanti a casa.
Perché se superi quel limite in cui pensi di soffocare (gran brutta sensazione), dopo pensi che puoi andare avanti per sempre, ed è una gran bella sensazione.
Perché sento il corpo che funziona, e funziona bene, armoniosamente, come non avrei mai pensato.
Perché torno a casa che ho fatto… (6? 10? 42 km?) e dico WOW, sono stata proprio io? Che ho sempre odiato correre? E mi sento un drago.

Perché mi si sfoltiscono i pensieri, il cervello torna lucido, sfrondo l’ansia.
Ci sono dei giorni che corro per non scappare via.
Perché quando fatico e poi mi fermo, le endorfine mi drogano. Solo che è legale, e non fa male.

Perché lo posso fare dappertutto e a qualunque ora io sia libera, e sì, anche se c’è freddo. Giuro.
E se si ha il coraggio di andare quando piove, ci si sente allegra come un bambino, e libera. (Praticamente come una pubblicità dei pannolini, solo che è vero).

Perché è un momento senza figli, e chi ha figli piccoli di sicuro ne hai bisogno. Magari (ma attenzione alle auto!) anche ascoltando musica che non sia Il caffè della Peppina.


Poi arriva un giorno in cui ne sento semplicemente il bisogno.
Mi rendo conto che ho un sacco di magliette tecniche dai colori improbabili, fuxia e giallo evidenziatore.
E mi alzo presto alla domenica (!!) per partecipare alle gare podistiche e correre in mezzo alla strada, chiusa per l'occasione, facendo pernacchie agli automobilisti, in mezzo ad altre 2000 ascelle puzzolenti. 
E da quel giorno inizio a fare proselitismo, e i gli amici mi odiano. Ma è tutta invidia.


Se qualcuno, spinto dalla bella stagione e dalla prova costume, vuole iniziare a correre, suggerisco di alternare corsa e camminata per non farsi scoraggiare alla prima uscita.
Potete trovare qua le indicazioni su come iniziare.

Il draghetto scorreggione che illustra il post è un regalo della mia amica Gabriella

giovedì 12 maggio 2016

Lavorare da mamme

Se volete rovinarvi la giornata, ecco un'indagine dell’Osservatorio nazionale di statistica del mercato del lavoro sull'occupazione femminile, in particolare dopo la maternità (fonte: Fondazione Studi dei Consulenti del Lavoro).
Se è evidente che le difficoltà di conciliazione vita privata/lavoro è tutta sulle spalle delle donne, quel che fa riflettere è che non è così dappertutto (tipo in Svezia, dove lavorano l'80% delle donne e la differenza con i maschi attivi è solo del 3%) - quindi si può fare, e noi dobbiamo pretenderla, una conciliazione che davvero sostenga la famiglia.
E quando dico che la pretesa deve venire da "noi", non intendo solo le donne: è un clamoroso autogol pensare che l'occupazione femminile riguardi le femmine. Per dirne una, se più donne lavorassero, anche le pensioni dei maschietti trentenni sarebbero più alte. Per tacere di tutte le risorse che si perdono escludendo metà popolazione dal lavoro.
E poi quello che mi fa incazzare, di brutto, è che nel 2016 ci sia ancora una percentuale così rilevante di donne che "scelgano" di non lavorare, e io mi immagino che se al nord sono il 22,9% e al sud il 52,7%, forse il 29,8% di scarto non l'ha fatto solo solo per dedicarsi alla famiglia. Ecco.


 Donne 25-54 anni di età per condizione occupazione e ripartizione geografica (media 2015).