giovedì 29 agosto 2013

Il tempo delle clave

Quando ho iniziato a lavorare, da bambocciona ancora a casa dei miei, mi stupivo dei discorsi delle colleghe sposate.
Tutte quelle lamentele sui mariti che non sanno qual è il cassetto dei calzini e che sono convinti delle capacità cinetiche delle mutande sporche, addestrate a trovare da sole il cesto della biancheria.
Li commiseravo, pensando che queste famiglie venivano dall'età della pietra, cara io vado a cacciare il mammuth, fammi trovare le bacche pronte e possibilmente i nostri dieci figli ancora vivi.

Io provengo da una famiglia in cui il primo genitore che arrivava a casa decideva il menù e lo metteva in tavola.
Ho imparato il soffritto da mio fratello, e l'altro mi ha insegnato a lavare i piatti.
Ho visto uomini stirare perché ce n'era bisogno e non perché minacciati di morte, e i segreti della lavatrice mi sono stati svelati dal mio compagno, che quando sono piombata nella sua vita e nella sua casa manco la sapevo accendere, e la differenza tra cotone e sintetico era un mistero da puntata di "Voyager".

Non esistono ragioni biologiche per cui certi lavori siano maschili o femminili.
Meglio andare a preferenze: a me piace usare i grandi elettrodomestici, non mi tiro indietro per attaccare un lampadario, ma i meccanici mi mettono soggezione e allora all'auto ci pensa lui.
A fare la spesa sono più veloce io, a lavare per terra più accurato lui, e così via.
Di comune accordo abbiamo stabilito che il ferro da stiro è nemico delle serate sul divano, per cui ha goduto di un pre-pensionamento e non lo usiamo. Mai.

Ma nel mondo là fuori le donne sono ancora affezionate alla clava.
Le statistiche parlano di 80 minuti al giorno di lavoro domestico femminile e 19 maschile (che faranno in 19 minuti? Aprono la porta al gatto che vuole uscire? Comprano il giornale in edicola?), e mi fanno incazzare. Ho avuto un part time dai 6 ai 18 mesi della pupa, il resto del tempo ho lavorato quanto lui, perché mi devo smazzare il quadruplo in casa?

Poi ho capito.

Credo che per molte lo scettro dell'indispensabilità, il martirio del calzino appaiato, sia fonte di gratificazione.
Quello che a me fa orrore, passare l'aspirapolvere mentre il marito dorme la Formula 1 anziché andare entrambi al cinema, le fa sentire brave, preziose e importanti, soprattutto quando il marito guadagna di più e/o ha un lavoro stabile (curiosamente, le donne a parità di mansione guadagnano il 30% in meno e sono le più precarie, tipo il 65% del totale).

Quando poi ci sono figli si raggiungono vette di follia. Il marito è "un ottimo padre" perché il sabato mattina gioca coi pargoli, mentre lei stira, ovviamente (e un padre mediocre che farà? Li chiamerà con un generico "ehi tu" perché non si ricorda nemmeno il loro nome ?), ma l'idea di uscire una sera con le amiche lasciando marito e figli fa ribrezzo.

Ragazze, è l'uomo che avete scelto per far dei figli, suvvia! Che potrà mai combinare? Metterà loro il pigiama al contrario, lascerà il tubetto del dentifricio aperto? E allora? Rinunciate alla serata per la salvaguardia del dentifricio?

Tocca a noi mostrare alla prole che ognuno contribuisce come può alla casa e alla famiglia, innanzitutto per rispetto degli altri componenti (e di se stessi), poi perché se solo le donne se ne fanno carico, il mondo del lavoro continuerà a discriminarle come adesso, ed è una perdita per tutti, non solo per le dirette interessate.

Lasciamo fare agli uomini le faccende, senza trattarli da "figli" ("cosa fai, non sei capace" e soprattutto l'odioso "faccio prima a farlo io") e santo cielo, lasciamoli un po' con i bimbi, ma non solo a giocare.
L'uomo che avete scelto per condividere la vostra vita è capace, al mattino, di vestirsi? Sarà capace di farlo anche per gli altri.
Certo, non farà indossare loro le stesse cose che scegliereste voi.
Adesso andate davanti a scuola e guardate se i vestiti degli altri bambini hanno la vostra approvazione. No, vero? Beh, sono scelti (al 90%) da altre mamme. Altre. Mamme. Non ci vanno bene (secondo il nostro, personalissimo parametro) non perché scelti dai papà, ma perché scelti da "altri".

Lunedì

Lunedì comincio a lavorare.

Nel dare questo annuncio, scusate voi 43% di giovani disoccupati che leggete, non sono contenta come dovrei.

Sì, il posto è bello, uno studio di consulenza del lavoro, quello che ho desiderato negli ultimi 6 anni.
Le colleghe sono carinissime, le ho conosciute nei 3 mesi in cui ci ho lavorato prima della maternità, c'è molta condivisione, la titolare è splendida (mi ha assunto mentre ero incinta) e nessuna competizione.
La paga è da CCNL, con la quattordicesima, e di questi tempi butta via.
Ma.

Il "ma" che non mi dà pace è che mia figlia, lunedì, avrà 3 mesi e 12 giorni.

Non mi basta sapere che la lascio a mani fidate (santi nonni, che ancora una volta risolvono i problemi), né che ho strappato, per ora, un part time, e quindi con i permessi per allattamento lavorerò solo la mattina.

Non mi tolgo dalla mente che una bimba così piccola ha bisogno della mamma.
Il mio posto è con lei, non con Zucchetti.
E tutti i preparativi che sto facendo - tirocini intensivi dei nonni, acquisto di biberon, stoccaggio di vasetti di latte materno in freezer - mi confermano che sarà una fatica.
Lasciare i bimbi non deve essere così complicato (nonni E biberon E tiralatte E latte artificiale per le emergenze).

C'era possibilità di scelta? Loro mi hanno aspettato 5 mesi, di più non potevano.
Noi campavamo con uno stipendio solo? Solo per un po'.
Avrei trovato un lavoro altrettanto bello, qualificato, nella mia città e su misura per me, nei prossimi mesi? Come no, è da gennaio 2011 che lo cerco.

Non vedo altre soluzioni. Trattengo il fiato e mi tuffo, e mia figlia, un giorno, mi capirà.