lunedì 9 gennaio 2012

Accumulazione

Oggi, dalla solitudine della mia scrivania (di quella Ikea col cassettino orrendo porta-tastiera che scorre, e che attualmente è invaso da: una cassa audio con filo troncato; cuffie e microfono per skype; cordless e cellulare; manuale di spagnolo “¿Qué me cuentas de nuevo?” con cd rom; mollettone per capelli, nonostante li tenga corti da un annetto; pezzetti di post it, matite e segnalibri...);
dicevo, dalla solitudine della mia scrivania casalinga, in cui svolgo il mio lavoro, che è appunto la ricerca di un nuovo lavoro, ho voglia di parlare dei colleghi.

In questo momento di poca voglia di lavorare e tanto sonno, avere qualcuno che ti inviti a prendere un caffè alla macchinetta sarebbe bellissimo.

E allora vado con la tipizzazione di quelli che ho incontrato nella mia vita lavorativa, e mi perdoni se qualcuno si sente chiamato in causa:

1) la collega “chiusa per ferie”.
Le fai una domanda e, nel tempo che ci mette a riavviare l’hard disk del suo cervello, andato in stand-by (giureresti di sentire il flip-flip del disco che gira), solleva uno sguardo stupito su di te (chi sei? parli a me?) che fa capire che era immersa nel suo mondo di sogni.
Poi, quando inizia a connettere (si ricorda che siamo in ufficio, e che io sono la sua vicina di scrivania) dà una risposta casuale, pescata random nella playlist delle ultime 10 risposte della giornata.
Bisogna darle un aiuto in più, per iniziare un dialogo di senso compiuto; tante volte vorresti fare come col pc e assestare un calcio sotto la scrivania, che si sa, è un metodo poco ortodosso, ma ogni tanto - col computer - funziona.

2) il migliore amico.
Il migliore amico è quello che ti porta il caffè, è pronto a farti un favore, quando ti dimentichi qualcosa al piano di sotto fa le scale al posto tuo.
Il migliore amico è tuttologo, ti aggiusta il pc, trova le pratiche perse nella notte dei tempi, ha sempre il numero di telefono di quel fornitore che dieci anni fa...
Il migliore amico si diverte in compagnia, sta allo scherzo e racconta la sua vita sentimentale come se fosse una sit-com.
Però...
Però quando si lavora allo stesso progetto diventa un mostro di competizione. Tu che sei abituato a vederlo come un mansueto animaletto da ufficio, non lo riconosci quando, bava alla bocca, approfitta della tua incertezza per prendere decisioni, interpellare consulenti, sfoggiare un rosario di termini tecnici e, mentre stai cercando di ricostruire il senso della frase, svolgendo le subordinate e facendo l’analisi del periodo, interpreta il tuo silenzio come assenso, e clicca “invio”.
Naturalmente quando qualcosa non va, il primo a cui lo riferisce è il capo.
Poi, il giorno dopo, porta il gelato per tutti.

3) l’ansiosa.
Mi sono svegliata stamani con un male qua...
Qua può essere la spalla, la schiena, la laringe; varianti: herpes, cervicale, cistite. Naturalmente il dolore è micidiale, e nessun farmaco può sedarlo.
La prima volta senti simpatia e il giorno dopo le chiedi, sollecita, come sta; la seconda volta la stai a sentire; la terza ti annoia; la quarta la butteresti fuori dalla finestra.
Chiederle come sono andate le ferie equivale a un suicidio.
Analogamente, il suo atteggiamento in ufficio è tendente al disastroso; del nuovo programma “non ci capisco un’acca”; il pc è “pieno di virus”, il capo “non capisce nulla”, il cliente “ci farà causa”, il collega “se ne andrà lasciandoci nella merda”, e naturalmente “ho così tante cose da fare che non so da dove prendere”.
Se le si dà corda, lamentandosi di qualcosa, ci si può divertire a sentire fino a dove arriva; in genere si accalora e promette le dimissioni per il giorno dopo, “se solo il capo mi risponde un’altra volta così”.

Certo la mia esposizione, come si dice, non è esaustiva; però è arrivata l'ora della pausa pranzo anche per me.

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