Siamo tutti precari

Facendo la spesa ho incontrato la mamma di Alessia.
Alessia la conosco di vista, più che altro perché conoscevo vagamente suo padre. Insomma, non certo delle amiche per la pelle, ma l'ho ritrovata incinta proprio mentre lo ero io, in un dei negozi per l'infanzia più grandi della città; io cercavo un seggiolino per bimbi, lei era commessa. Suo figlio è nato qualche giorno dopo la mia.

Sua madre, incrociandomi col carrello, si è avventata sulla mia pupa, con quelle false domande da nonna, che mirano in realtà a parlare del nipotino - è brava? Perché Robertino lo è. Va all'asilo a settembre? Robertino andrà proprio qua dietro - e io l'ho interrotta quasi subito, signora, ma il negozio di sua figlia?
Infatti avevo visto che era vuoto, le vetrine desolate con appiccicato un cartello scritto a mano che diceva di rivolgersi al tal negozio di un'altra città. Una passante aveva anche commentato che non avevano fatto nemmeno la svendita.

E la signora parte con un racconto simile a tanti altri, gli ultimi due mesi di stipendio non pagati, un annuncio di affittasi trovato da sua figlia sul web con la descrizione precisa dei locali del negozio. La ricerca dell'avvocato pochi giorni prima del licenziamento, 6 anni di TFR che chissà se li rivedrà.

La storia non è certo nuova. Ora Alessia, dopo qualche mese di disoccupazione, ha trovato un nuovo lavoro in un negozio del centro commerciale, su turni 8-21 da lunedì a domenica, e deve anche star contenta.

Mi ricordo due cose di Alessia. Una, l'invidia per la sua conoscenza degli articoli per neonati, che attualmente mi sembra di nessuna importanza ma che, alla 32esima settimana di gestazione, senza aver mai preso in braccio un bambino in vita mia, trovavo invidiabile - almeno lei sapeva aprire e chiudere un passeggino.
Un po' come l'invidia per il sapere dell'infermiera di neonatologia, amica di amici, che quando è diventata mamma pensava di essere esperta come tata Lucia e invece metteva alla sua bimba i pannolini al contrario, ecco perché usciva tutta quella cacca, ma sai in ospedale usiamo i Pampers ma costano e io ho comprato gli Huggies.

La seconda cosa di Alessia è che, appunto, alla 32esima settimana lavorava ancora. E anche alla 36esima, ossia il massimo per legge. Nonostante le tante ore in piedi, l'ho sempre trovata lì, sorridente e sicura, che usava un'ulteriore arma di persuasione nei confronti delle future mamme: "L'ho comprato anche io per Robertino", indicandosi il pancione.
E 4 mesi dopo il parto, con l'aiuto del latte in polvere e della nonna, era di nuovo lì.
Non so perché non abbia usufruito del congedo parentale per stare con il suo bambino - forse, semplicemente, il bisogno di soldi. O magari un datore di lavoro che, più o meno velatamente, fa pressione per il rientro, o il desiderio di essere all'altezza in tutto, lavoratrice, mamma, moglie tutto insieme e subito.
Fatto sta che quei mesi in cui Robertino è stato svezzato, ha imparato a gattonare e poi a tirarsi in piedi, Alessia ha passato molte ore nel negozio. Il negozio che poi l'ha mollata da un giorno all'altro. E ora quei mesi non torneranno più. Sia chiaro, rispetto la sua scelta, tanto più che non ne conosco le motivazioni. Quel che dispiace è che la dedizione al lavoro è stata così mal ripagata.

"Alla fine siamo tutti precari, se non ti scade il contratto ti fallisce la ditta" è una chiacchiera alla macchinetta del caffè di un mio (tra poco ex) collega. Immagino volesse tirarmi su di morale.