martedì 15 maggio 2012

Cose che sarebbe stato meglio sapere

Mi telefonano un pomeriggio per fissare il colloquio di lavoro.
-          Mercoledì alle 15 va bene?
-          Guardi, in quell’orario lavoro; non si potrebbe fare dopo le 16.30?
-          Allora venerdì alle 10.30 va bene?
Siccome si tratta di una cooperativa sociale penso che la mia interlocutrice sia disabile. Tristemente, scoprii dopo, non era così.

Alla fine ottengo un appuntamento di sabato mattina.

Il giorno precedente mi chiama un’altra persona, con un forte accento spagnoleggiante, per confermarmi el appuntamento verso le 11. Penso: è fuori dal classico orario d’ufficio, l’orario sarà approssimativo. Scoprii che la persona in questione, chissà perché (forse per una mentalità “latina”?), non era in nessun modo in grado di dare un orario per così dire “secco”; le sue indicazioni erano sempre “verso le”.

Sabato mattina, dunque. Suono alla porta, mi danno il tiro, entro.
Una persona è seduta nell’ingresso; è visibile una scala, con alcuni scatoloni accatastati sotto.
Nessuno mi viene incontro.
Chiedo, facendo per salire: - I colloqui li fanno di sopra?
-          Sì, ma adesso c’è uno. Credo che bisogna aspettare qua.
Una vetrata sporca. Pavimenti sporchi. Un piccolo open space con divisori di plastica ondulata semitrasparenti.
Una voce indistinta che parla, parla.
L’altro ragazzo in attesa mi chiede: - Scusa, ma questo colloquio per che posto è? Perché sai, la telefonata mi ha preso di sprovvista e non ho chiesto.
Andiamo bene, penso.

Il colloquio, inaspettatamente, va bene. Il signore con cui parlo non si presenta, ma mi parla di una giovane azienda in crescita, di un ufficio in condizioni disastrose da implementare, sottodimensionato rispetto alle nuove necessità, da rinnovare anche nelle procedure; di una ottima consulente che però “va alleggerita” nel carico di lavoro e che ha bisogno di un interlocutore in ufficio che non sia lui stesso.
È dirompente, pieno di entusiasmo, e ci capiamo al volo.
Nonostante tutto sono molto interessata.

Secondo colloquio. Questa volta in orario di ufficio.
Mi accoglie una ragazza scostante che mi chiede se sono lì per una autocandidatura, le rispondo di no, che sono già venuta; si volta e torna alla sua scrivania, senza nemmeno dirmi dove aspettare.
Il tipo della volta precedente mi viene incontro e mi porta al piano di sopra. Passando noto che gli scatoloni sotto la scala sono aumentati; chiedo indicandoli se c’è stato un trasloco da poco, risponde ridendo di no. Ma non spiega perché sono lì.

In questo secondo colloquio conosco anche la consulente. Una persona squisita con cui avrei a che fare continuamente. Mi fa alcune domande tecniche, poi lui mi chiede che preavviso dovrei dare, e se posso chiedere di ridurlo.
-          Ma prima di chiederlo devo sapere con sicurezza se mi assumete!
-          Sì, direi di sì – dice lui, cercando con lo sguardo la consulente che gli fa un cenno d’assenso.
Rapida decisione, penso. Non hanno nemmeno avuto modo di consultarsi.
Chiedo particolari dell’offerta economica e della durata contrattuale. Lui parte per la tangente parlando di come in azienda si facciano vari contratti, sia a tempo determinato che indeterminato, e anche parasubordinati. Lo riporto al qui e ora: sì, ma a me che attualmente sono a tempo indeterminato, cosa mi offri?
-          Diciamo… che se ti offrissi un tempo determinato non lo accetteresti, quindi ok al tempo indeterminato.
Che botta di culo, penso. Scoprii che prendere decisioni alla cazzo su due piedi è un’abitudine da conoscere e temere.

2 commenti:

  1. E' una buona notizia pare... Com'è però che c'è qualcosa che mi puzza lo stesso? ;)

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  2. Ehm... è successo tutto un anno fa. E' un posto da cui sono scappata a gambe levate. Benedetto fu il coraggio di entrare in un tabacchino e mandare via fax le mie dimissioni in tronco!!

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