mercoledì 22 agosto 2012

Figli dei baci

Un mese fa è comparsa la notizia che alla fabbrica della Perugina, di proprietà della Nestlè, è stata fatta la proposta di assumere i figli dei lavoratori che accettano una riduzione dell’orario di lavoro.

I sindacati si sono opposti, con l’argomento incisivo “famo du poveri”.
Si è parlato dell’eventuale sacrificio dei genitori, anche dal punto di vista previdenziale (meno lavoro = meno contributi), e di numeri: quanti lavoratori potrebbero essere interessati? Quindici, cinquanta? È una proposta realistica?

Solo io mi scandalizzo al pensiero che il posto di lavoro sia un bene ereditario? (anche se non è una novità, anche in alcuni contratti di banca è previsto).

Mi sembra che ci sia qualcosa di profondamente sbagliato nello scegliere un lavoratore anziché un altro solo per genealogia.

Se il mercato del lavoro è un mercato (potremmo discutere all’infinito su quanto sia giusto, ma al momento è così), un lavoratore che, appunto, si affaccia sul mercato dovrà pur avere qualcosa in più rispetto alla concorrenza.
A volte qualcosa di certificabile –una laurea in ingegneria, anni di esperienza, anche solo l’età da apprendistato –, a volte qualcosa di meno definito, che permette però di distinguere uno bravo da uno meno. Anche nei mestieri meno specializzati. A fare le pulizie sono tutti capaci: questo vuol dire che in casa, quando se ne occupa il marito, non si vede la differenza?
O che l’ultimo bracciante, se volenteroso e puntuale, non rende di più – e quindi va retribuito meglio - di uno che cerca solo e sistematicamente di lavorare il meno possibile?

Non si può pensare che un lavoratore valga l’altro.
A meno che il datore di lavoro non metta sulla bilancia anche altro: un risparmio per l’azienda, o magari la speranza di maggiore lealtà. Ma magari un lavoratore che non si sia non dico sudato, ma nemmeno cercato il posto, al grido di “tutto mi è dovuto” può puntare alla massima resa col minimo sforzo, con conseguenze negative per tutti, datore di lavoro, colleghi, e anche per il prezzo finale dei baci perugina.

È vero che esiste il diritto al lavoro. Ma non significa che il lavoro è garantito a tutti; vuol dire che lo Stato si deve impegnare perché siano rimossi gli ostacoli affinché le persone trovino lavoro, e che prevede forme di aiuto per chi non ce l’ha – come la mobilità, o l’apprendistato, appunto. Non come il diritto ereditario.

Sarà che nella mia posizione di precaria mi sento di schierarmi dalla parte di “tutti gli altri”, gli esclusi, in particolar modo i meritevoli.
E mi piacerebbe che i sindacati sprecassero una parola su di loro.
Non dovrebbero avere il dovere, la vocazione di tutelare anche loro? O devono pensare solo agli iscritti? E davanti a diversi interessi che potrebbero arrivare a contrapporsi, quelli dei lavoratori fissi, dei lavoratori disoccupati “figli-di”, e dei lavoratori disoccupati e meritevoli, non dovrebbero non dico trovare la Soluzione, ma magari fare uno sforzo di analisi maggiore?

Ma poi penso: sveglia. Quante persone conosci che hanno trovato lavoro come “figli-di”, anche se non è un criterio di ricerca istituzionalizzato?
La collega che la mamma le ha detto: vieni nel mio ufficio, stanno cercando. E madre e figlia lavorano gomito a gomito fino al pensionamento della prima.
L’impiegata che, casualmente, è parente di uno nell’associazione di categoria. Dove lavora anche il fratello.
La nuova addetta all’amministrazione che “è mia cognata, sta cercando da mesi”. Anche se non aveva idea di cosa fossero le agenzie interinali (ma con che impegno cercava?)
L’altra impiegata che è sorella della barista dove fa colazione il capo. Ha consegnato un cv redatto dal cognato, dove era perfino sbagliato il cognome nell’intestazione. Con che attenzione può lavorare per gli altri?
L’addetto alle consegne che “una mia amica conosce i genitori” con un cv vaghissimo (“ho lavorato facendo consegne e come magazziniere”, senza il nome di un’azienda, o una data). E poi si è rivelato un pazzo, arrivava con un’ora e mezza di ritardo perché la corriera fa tardi e “non posso mica alzarmi alle 6.30 e prendere quella prima”, non si presentava per giorni senza telefonare che era malato perché “senza credito nel cellulare” e l’ultima settimana, andando a casa, ha buttato lì un “È arrivata per caso una multa? No? Bene”.

Non mi piacerebbe essere operata da un chirurgo che è stato assunto perché suo padre ha accettato il prepensionamento, e voi?
(In realtà la mia è tutta invidia)

6 commenti:

  1. il tuo ragionamento lo trovo valido anche se sembra tutta invidia.
    diversa è la storia dei premi in base all'impegno nel lavoro ma questo mi è sembrato un argomento secondario.
    Nella ditta dove lavoro c'è gente che non avendo impegni al di fuori (vedi famiglia, figli piccoli, ecc) fa' orari assurdi, "lecchinamenti" vari... e questo penalizza le persone "normali".
    Addirittura mesi fa' c'è stata una neoassunta laureata che per farsi vedere e fare carriera faceva più delle otto ore giornaliere, rinunciava a periodi di ferie, era sempre connessa alla ditta e, diventata responsabile, ha iniziato a "massacrare" i sottoposti.
    La soddisfazione di questi ultimi è che alla fine è schiattata perchè i ritmi che lei stessa aveva imposto l'hanno schiacciata e s'è licenziata: però il danno ormai è fatto.
    Ops, scusa la lunghezza.

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    1. Bisognerebbe mettere in discussione un sistema in cui si fa carriera solo se si rimane oltre l'orario.
      Capacità di organizzarsi e di delegare sono importanti anche per un manager.
      Senza contare i lecchini e chi si sente gratificato da loro... In una posizione di responsabilità si dovrebbe saper distinguere il valore delle proprie risorse.
      L'invidia per chi ottiene a discapito degli altri non mi appartiene... Ho un senso di giustizia tutto mio, da sceriffo, per cui non vorrei nemmeno potendo

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    2. bisognerebbe mettere in discussione molte cose... ma mi pare che ti ho portato fuori tema =D
      comunque mi trovi dalla tua parte sul post.

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  2. La cosa dimostra soprattutto come la qualità e la professionalità del personale siano sempre un elemento di poco conto per l'azienda italia tipica. E non è una buona cosa...

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  3. A volte mi viene da scandalizzarmi per l'avvilente abbassamento di livello dei nostri giornali... ma poi mi viene in mente che anche lì, il più delle volte, non si viene assunti perché bravi a scrivere, ma perché figli di giornalisti o amici di gente che conta... :-(

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