venerdì 30 dicembre 2011

Level: survivor

Agenzia di selezione: primo colloquio per una addetta all'ufficio personale, in una filiale italiana di una multinazionale dal nome assurdo (da me ribattezzata "Oil Petroil").
Al termine del colloquio, l'addetta alla selezione mi butta lì un: "e l'inglese?"
Io, con nonchalance: "L'ho studiato a scuola, certo."
Sottinteso: il mio livello attuale di inglese è "survivor": serve a intercalare i gesti con cui mi faccio capire all'estero. A volte riesco a formulare la domanda. In genere non capisco la risposta.
Allora ok, mi risponde.

Secondo colloquio.
Mi chiama la tipa con cui avevo già parlato e mi dice: sei pronta per un incontro direttamente nella ditta?
Certo!
Allora martedì, alle 17. Portati un curriculum in inglese.
Inglese?, ripeto tra me e me con un brivido.
E invece dico: certo!

Passo il week end a pensare: mi devo mettere al pc a fare questo cazzo di cv.
Lo tradurrò con "Google - strumenti per le lingue".
Ma no, che figura ci faccio.
Ma sì, non se ne accorgerà nessuno; sarà solo un esercizio, per capire a che livello sono.
Scopiazzerò il cv di qualcun altro. In ufficio dovrei averne di un paio in lingua.
No, mi dico. Vogliono sapere com'è il mio inglese, ne avranno un assaggio genuino!

Mi riduco all'ultimo.
Che non è la sera prima: naturalmente lunedì sono venuti gli imbianchini e il pc è irraggiungibile, è stato spostato al centro della stanza, coperto da teli, mentre la presa elettrica è circondata da vernice fresca.
No, no, mi riduco al giorno stesso, a un’ora prima di partire.
Traduco con google, poi faccio un paio di ricerche con jobrapido UK per capire se le qualifiche che ho inserito hanno senso nel mercato del lavoro, o sono traduzioni maccheroniche - non avranno un assaggio del mio english, ma della mia capacità di navigare sì.
Mi agito, stampo, parto.
In ritardo di 5 minuti.

Corro in tangenziale.
Corro in autostrada.

Il navigatore dice: “Arrivo a destinazione. Sulla sinistra”.
Peccato che a sinistra c’è solo aperta campagna.
Vado avanti, cerco una fabbrica, vedo solo casali di campagna con annessa stalla (ah! la campagna emiliana!).
Proseguo, poi torno indietro.
Ripasso per la campagna.
Provo a infilare una stradina laterale, finisco nel cortile di una casa.
Provo un’altra stradina, vado avanti fino a scoprire un campo nomadi (!!) con ragazzi che giocano a pallone e un paio di roulotte.
Chiamo l’agenzia del primo colloquio. La tipa che mi ha mandato lì è al telefono, mi richiamerà, mi dicono.
Non ho il numero dell’azienda, per chiedere la strada.
Non mi ricordo nemmeno il nome (Oil Petroil?) per chiedere al contadino sul trattore.
Allora chiedo l’aiuto da casa.
Per fortuna chi è a casa aveva guardato il sito dell’azienda con me, si ricordava il nome (!!) e trova l’indirizzo.
Al civico 111, non 130, boia d’un cane.

Arrivo, trafelata, con 25 minuti di ritardo.
Gli uffici sono deserti.
Dopo un minuto di attesa mi viene a cercare la responsabile delle risorse umane, si presenta e mi dice: come te la cavi a parlare in inglese?
Faccio una smorfia.
Risponde: ok, dai, vieni.
Entriamo in una sala riunione, di quelle con il tavolone al centro e una decina di sedie intorno.
Dentro c’è già un’altra signora, che mi sorride, dice “Hi” e si presenta come Renee, nice to meet you.
E mi allunga un biglietto da visita. Il suo numero di telefono ha il prefisso 864. L'indirizzo dell'ufficio è in South Carolina, USA.
Io penso: adesso mi giro, prendo la porta e scappo.

Non sono scappata. Renee si è beccata il mio cv fresco di stampa, l’addetta alle HR Italia ha tradotto con un inglese “concreto” il mio colloquio svolto in un impeccabile italiano, io mi sono sentita sollevata dal fatto che non abbiano insistito nell'orrendo proposito di fare un colloquio in inglese, convinte dal fatto che sono “shy” e un po’ arrugginita.

Mi faranno sapere.
Ci posso sperare?

1 commento:

  1. ah ah per un attimo ho pensato avessero avuto bisogno di una traduttrice per un incontro di lavoro e siccome non avevano fatto in tempo a trovarne una hanno beccato te e poi "grazie mille" =D

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